Una promessa è una promessa?
«Ti telefono domani alle 14. D’accordo?»
«Sì. A domani.»
Arriva domani e… ore 14: niente. Ore 15: nulla. Ore 20: silenzio.
Lo chiamiamo, genericamente, un bidone: alzi la mano chi non lo ha mai sperimentato.
Definirlo informalmente un “bidone”, non depotenzia però i suoi effetti. Dal punto di vista etico è la rottura di un patto, un impegno non rispettato; da quello psicologico, è tradimento del senso di affidamento. Dal punto di vista esistenziale, vuol dire compromettere la fiducia nel futuro.
Una promessa lega il proprio sviluppo a quello di un’altra persona e viceversa; ha una dimensione profonda, legata alla progettualità e all’idea di futuro.
Scrive Viktor Frankl: «l’uomo ha invero un carattere peculiare: può esistere solo nella visuale del futuro» (Uno psicologo nei lager, Edizioni Ares, Milano 2012, pp. 125).
Gli scrittori che hanno raccontato dei lager o dei gulag, confermano che la dimensione più disumanizzante del sistema dei campi di internamento era proprio l’assenza di futuro. E una vita senza prospettiva di futuro, diventa un grigio scorrere del tempo, una pura questione biologica.
Secondo una ricerca commissionata da Avaaz e condotta da Elizabeth Marks e Caroline Hickman dell’università di Bath (GB) , insieme ad altre 6 università, su un campione di 10 mila giovani fra i 16 e i 25 anni in dieci paesi del mondo, la crisi climatica in corso crea, sui ragazzi, uno stato d’ansia, cui è stato dato il nome di eco-ansia.
Dalla ricerca emerge che il «59% è molto o estremamente preoccupato, l’84% moderatamente. Più del 50% si sente triste, ansioso, arrabbiato, senza potere e senza aiuto, e colpevole.»
Un altro dato preoccupante è che il 40% degli intervistati è dubbio all’idea di mettere al mondo, un domani, dei figli.
Nel 2015 è stato firmato l’accordo di Parigi per il contenimento del riscaldamento globale. Sappiamo bene come esso sia disatteso e come poche siano le speranze di vedere sostanziali cambiamenti nel prossimo futuro.
Di fatto, l’accordo era una promessa: fra i Paesi contraenti, certo. Ma lo era anche fra le generazioni: la più anziana, quella oggi al potere, si era impegnata a garantire un futuro a chi sarebbe venuto dopo di lei. È un altro caso, l’ennesimo, di rottura del patto intergenerazionale, in cui la generazione dominate oggi consuma tutto il capitale naturale a svantaggio della successiva.
Questo modo di agire pregiudica gli orizzonti del futuro. Oggi genera ansia. Domani potrebbe sfociare in frustrazione e risentimento.