Intervista a Marco Minniti:leggere con attenzione il fenomeno migrazione
C’ è qualcosa di nuovo, anzi di antico sulle coste italiane: si torna a sbarcare, a soffrire e morire, la questione si sta trasformando di nuovo in un «business politico» e davanti a questo scenario Marco Minniti, ultimo ministro dell’Interno di un governo di centrosinistra, lancia l’allarme: «Attenzione, perché i nazionalpopulisti di casa nostra davanti alla sfida alla salute pubblica portata dal Covid puntano a cancellare il principio di accoglienza, che noi dobbiamo saper conciliare con il diritto alla salute. Ma attenzione anche a quel che sta accadendo nel Mediterraneo: è in atto il più imponente mutamento geopolitico dalla caduta dell’impero ottomano. Per l’Italia e per l’Europa è una sfida senza precedenti. Cambiamenti ormai irreversibili che richiedono un cambio di approccio radicale, un tempo si sarebbe detto un cambio di paradigma».
A Khums la Guardia costiera libica ha sparato su alcuni migranti, riproponendo la questione della sua pericolosa inaffidabilità, in qualche modo avallata dall’Italia…
«Quel che è avvenuto è gravissimo e inaccettabile. È molto importante che la denuncia sia venuta dall’Organizzazione mondiale dell’immigrazione, con la quale l’Italia in questi anni ha costruito una straordinaria collaborazione in tutti teatri,a partire dalla Libia. L’Italia deve pretendere una commissione d’inchiesta indipendente, che indaghi e colpisca ogni responsabilità».
Ha fatto discutere nei giorni scorsi la sua affermazione per cui c’è una evidente correlazione tra immigrazione e Covid: che significa?
«Ripetiamo spesso: dopo il Covid nulla è più come prima. È vero. L’epidemia potrà essere più o meno rapidamente superata e si troverà un vaccino e tuttavia la diffusione su scala planetaria di un’infezionevirale che ha prodotto così tanti morti è destinata a cambiare radicalmente il modo di sentiredelpianetaintero. Le migrazioni implicano spostamenti e relazioni umane. Si tratta di ridefinire in questo nuovo scenario il diritto di chi è accolto (garantito in modo incancellabile dalle convenzioni internazionali) e di chi sta accogliendo».
Concretamente parlando?
«È più che mai il tempo di costruire e rendere irreversibili canali di migrazione legali che cancellino quelli illegali.Tutto quello che è legale è compatibile con la salute, tutto quello che è illegale è esposto alla pandemia».
Ma negli ultimi mesi nel Mediterraneo è in atto un cambiamento epocale: complicato immaginare politiche di ampio respiro?
«Da molti mesi la produzione di petrolio in Libia è ferma, con una perdita per i libici tra i 5 e i 7 miliardi euro. In più con un fermo ai pozzi, c’è rischi di danni funzionali ai pozzi: non si riapre il rubinetto. Il popolo libico è in ginocchio»
L’Europa ha altro a cui pensare…
«Per l’Italia e per l’Europa si tratta di una sfida senza precedenti avere a poche centina di chilometri dalle proprie coste un Paese come la Libia, nel quale sono presenti Turchia e Russia e in cui aleggia una possibile spartizione in zone di influenza.Nei giorni scorsi il Parlamento egiziano ha deliberato il possibile intervento del suo esercito in Libia. Siamo nella fase della minaccia controllata, ma la storia è fatta di minacce controllate che sono sfuggite di mano.Una eventuale divisione di questo tipo sarebbe uno scacco per l’Italia e per l’Europa».
Si sta muovendo qualcosa o oramai si naviga a vista?
«Abbiamo bisogno di un cambio di passo dell’Europa. Nel momento in cui diventano protagonisti Russia e Turchia, non c’è un singolo Paese europeo che possa farcela da solo. L’unica ad avere la “taglia” di quei Paesi è l’Europa. Che deve proporre una iniziativa di pace che sia sostenuta da un piano di ricostruzione civile, sociale, economico, istituzionale, che metta in campo ingenti risorse paragonabili a quelle investite sulla cosiddetta rotta balcanica, per la quale ha investito 6 miliardi euro. E negoziando un nuovo Memorandum of understanding che consenta una lotta senza quartiere ai trafficanti di esseri umani, impegnando le autorità libiche a realizzare consistenti corridoi umanitari e a svuotare i centri di detenzioni illegali».
Dal 2017 al 2019 l’Italia ha avuto due politiche contrapposte, la sua e quella di Salvini: da un anno non sono stati toccati i decreti sicurezza, non sono in campo misure di “deterrenza” e gli arrivi sono quasi quadruplicati….
«L’Italia deve fare un altro passo: non accontentiamoci delle soluzioni tampone. Pensiamo a una strategia. Da una parte serve una profonda modifica dei decreti sicurezza e costruire canali legali di ingresso di migranti economici. Si tratta di liberare l’Italia dalla camicia di Nesso della legge Bossi Fini che la tiene legata al passato».