Bisogna avere buona memoria per mantenere le promesse
di Antonio Boccuzzi*
Per chi avesse la memoria un po’ corta o per chi non conoscesse la tragedia Thyssen perché l’anagrafe non glielo consente è bene ricordare cosa accadde quella notte.
I miei compagni di lavoro, i miei amici sono arsi vivi la notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007 per qualche centinaio di migliaia di euro risparmiati.
Forse qualcosa di più, dal momento che neppure si provvedeva più alla manutenzione dei flessibili in cui “passava” ad altissima pressione l’olio oleodinamico necessario quella maledetta macchina di ferro, la Linea 5.
Usurati, alcuni di quei flessibili si lacerarono, e una nube di olio bollente e fuoco nebulizzò sette vite.
Le portò via, le rapì, le rubò
Negò loro la possibilità di sognare e di realizzare quel sogno.
La più grande ingiustizia che ci possa essere è morire mentre si lavora,mentre si sta cercando di guadagnare da vivere, mentre si prova a realizzare un desiderio
E quel desiderio ti viene negato, strappato via, rubato
Non da un destino cinico e crudele, non dal caso o dal fato, ma da precise scelte
Quelle scelte hanno impedito ai miei compagni di tornare a casa quella notte
Quando si subisce una grande sofferenza ed una tale ingiustizia non si rimane senza sentimenti
Anzi
L’odio è un sentimento. Io odio l’ingiustizia.
L’amore è un grande sentimento, ed io amo il mio Paese, un Paese in cui però faccio sempre più fatica a ritrovarmi. Un Paese in cui la vita e il lavoro sono elementi barattabili l’una per l’altro.
Un Paese in cui un manager colpevole di omicidio volontario viene applaudito. Un Paese dove la giustizia dura una vita, quando ti basta e spesso dura oltre alla vita, tanto da essere negata, prescritta
E complicato mantenere fiducia nella giustizia in queste circostanze, ma abbiamo tenuto duro, e dopo ben cinque gradi di giudizio c’è stato l’unico epilogo che poteva esserci : tutti gli imputati sono stati condannati.
Quattro di loro, gli italiani, hanno scontato parte della pena, mentre per gli altri Il nostro Paese non riesce a far rispettare una sentenza definitiva e ancora oggi i due condannati tedeschi, tra cui l’amministratore delegato condannato in primo grado a 16 anni di reclusione per omicidio volontario, sono a piede libero a correre nel loro Paese
Una lunga fuga a cui non si riesce mettere fine
Oggi non si lavora solo per vivere, ma spesso, troppo spesso, si muore lavorando. E questo non è degno di un Paese che si definisce civile.
La battaglia sulla sicurezza è una battaglia di civiltà: è inaccettabile che si muoia sul lavoro in un Paese moderno e avanzato sul piano sociale, economico e morale.
E’ grave, infine, il silenzio in cui in questi anni sono volati via migliaia di lavoratori, una città ogni anno, dentro un Paese sempre meno bello e meno civile. Grave e inspiegabile. Un silenzio assordante, insopportabile.
L’impunità che fino a oggi ha contraddistinto processi analoghi a quello Thyssen non è la manifestazione di un Paese equo. Non serve nè da monito, nè da deterrente, soprattutto per quelle imprese meno virtuose, che non pongono al centro dei loro interessi la sicurezza e l’incolumità dei propri dipendenti: la vera ricchezza delle loro attività.
Viviamo la discrasia di avere a detta di molti la miglior legislazione a livello europeo e al contempo abbiamo una delle peggiori situazioni in Europa in termini di infortuni invalidanti o peggio mortali.
Noi siamo l’esempio da non seguire . Rappresentiamo l’illusione di una giustizia compiuta e la conseguente delusione per essere sempre al palo a rincorrerla.
La cosa incredibile è che ogni volta che proviamo a cercare un orizzonte, proviamo a cercare il traguardo, proviamo a cercare l’arrivo, lapprodo di questo lungo percorso durato oltre 12 anni, quando lo stesso si intravede accade qualcosa, si staglia davanti a noi un ostacolo, un muro, un intralcio creato ad hoc per protrarre in avanti quella risposta che oggi ritengo ci sia dovuta.
Da molte parti era arrivata la garanzia di una forte attenzione la garanzia di un processo in qualche maniera veloce Ecco il nostro processo è durato 5 gradi di giudizio e oggi a distanza di 4 anni dalla sentenza definitiva siamo ancora in attesa che la stessa venga applicata. È quasi imbarazzante commentare la nuova richiesta : se io chiedo la semilibertà è perché in qualche maniera mi è stata negata una forma di libertà Credo che l’unica Libertà sia stata negata a chi ha perso la vita quella notte. La libertà di sognare, la libertà di realizzare un sogno, la libertà di avere un sogno piccolo o grande che esso sia.
In questi anni hanno continuato a vivere in Germania come nulla fosse non è stato precluso di alcun diritto rispetto alla sua libertà e in questo trovo assurda questa nuova richiesta. Richiesta che indubbiamente produrrà un effetto cioè quello di protrarre ulteriormente il compimento della sentenza già emanata 4 anni fa.
Scopri quanto sia un concetto ancora lontano l’Unione Europea con gli steccati che dividono le diverse forme giurisprudenziali. L’amministratore delegato harald espenhahn è stato condannato in primo grado a 16 anni di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale il reato è stato ridimensionato ad un omicidio colposo con colpa grave ma gli sono stati riconosciuti 9 anni e 8 mesi di reclusione in Germania vengono ulteriormente ridimensionati quasi ridicolizzando la sentenza italiana riducendo la pena di un altro 50% e quindi dimezzandosi di volta in volta la pena finale in Germania Vale circa meno di un terzo di quella che era la pena originale. È originale che a distanza di 4 anni un paese dell’Unione Europea non consegni il diritto a noi cittadini europei. Quindi l’ideale di un Unione senza confini viene superato dagli steccati di una forma di processo diversa tra la Germania e l’Italia
Molte volte mi sono chiesto che cos’è la giustizia cosa cerchiamo in questo processo e se esiste una giustizia vera, compiuta.
Quando muore un figlio di 26 anni, quando muore un padre di famiglia quando muore un fratello un marito davanti a questa tragedia che cos’è la giustizia ?
*operaio Thyssen sopravvissuto alla tragedia