Cronache

Istat: aumentano gli italiani che emigrano all’estero

Sono sempre di più gli italiani che scelgono di andare a vivere all’estero, mentre per la prima volta in 5 anni diminuiscono le immigrazioni nel nostro Paese, con un netto calo soprattutto degli arrivi dall’Africa. È la fotografia scattata dall’Istat nel rapporto Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente-Anno 2018.


Il volume complessivo delle cancellazioni anagrafiche per l’estero è di 157 mila unità, in aumento dell′1,2% rispetto all’anno precedente. Le emigrazioni dei cittadini italiani sono il 74% del totale (116.732). Se si considera il numero dei rimpatri (iscrizioni anagrafiche dall’estero di cittadini italiani), pari a 46.824, il calcolo del saldo migratorio con l’estero degli italiani (iscrizioni meno cancellazioni anagrafiche) restituisce un valore negativo di 69.908 unità. Il tasso di emigratorietà dei cittadini italiani è pari a 2,1 per 1.000.

La regione da cui emigrano più italiani, in valore assoluto, è la Lombardia con un numero di cancellazioni anagrafiche per l’estero pari a 22 mila, seguono Veneto e Sicilia (entrambe oltre 11 mila), Lazio (10 mila) e Piemonte (9 mila). In termini relativi, rispetto alla popolazione italiana residente nelle regioni, il tasso di emigratorietà più elevato si ha in Friuli-Venezia Giulia (4 italiani su 1.000 residenti), Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta (3 italiani su 1.000), grazie anche alla posizione geografica di confine che facilita i trasferimenti con i paesi limitrofi. Tassi più contenuti si rilevano nelle Marche (2,5 per 1.000), in Veneto, Sicilia, Abruzzo e Molise (2,4 per 1.000). Le regioni con il tasso di emigratorietà con l’estero più basso sono Basilicata, Campania e Puglia, con valori pari a circa 1,3 per 1.000.


A un maggior dettaglio territoriale, i flussi di cittadini italiani diretti verso l’estero provengono principalmente dalle prime quattro città metropolitane per ampiezza demografica: Roma (8 mila), Milano (6,5 mila), Torino (4 mila) e Napoli (3,5 mila); in termini relativi, tuttavia, rispetto alla popolazione italiana residente nelle province, sono Imperia e Bolzano (entrambe 3,6 per 1.000), seguite da Vicenza, Trieste e Isernia (3,1 per 1.000) ad avere i tassi di emigratorietà provinciali degli italiani più elevati; quelli più bassi si registrano invece a Parma e Matera (1 per 1.000).


Quanto al flusso opposto, cioè le migrazioni nel nostro Paese, le iscrizioni anagrafiche dall’estero registrate nel corso del 2018 ammontano a 332.324, in calo del 3,2% rispetto all’anno precedente; di queste, 286 mila riguardano cittadini stranieri (86% del totale).


Nel decennio 1999-2008 gli italiani che hanno trasferito la residenza all’estero sono stati complessivamente 428 mila a fronte di 380 mila rimpatri, con un saldo negativo di 48 mila unità. Dal 2009 al 2018 si è registrato un significativo aumento delle cancellazioni per l’estero e una riduzione dei rientri (complessivamente 816 mila espatri e 333 mila rimpatri): di conseguenza, i saldi migratori con l’estero dei cittadini italiani, soprattutto a partire dal 2015, sono stati in media negativi per 70 mila unità l’anno.

Significativi anche i dati sui laureati che lasciano il nostro Paese: in dieci anni sono stati 182 mila. Solo nell’ultimo anno hanno fatto la valigia 29 mila persone con un aumento del 6% che sale addirittura al 45% se si considerano gli ultimi 5 anni. 


Considerando il livello di istruzione posseduto al momento della partenza, nel 2018 più della metà dei cittadini italiani che si sono trasferiti all’estero (53%) è in possesso di un titolo di studio medio-alto: si tratta di circa 33 mila diplomati e 29 mila laureati. Rispetto all’anno precedente le numerosità dei diplomati e laureati emigrati sono in aumento (rispettivamente +1% e +6%). L’incremento è molto più consistente se si amplia lo spettro temporale: rispetto a cinque anni prima gli emigrati con titolo di studio medio-alto crescono del 45%.


Quasi tre cittadini italiani su quattro trasferitisi all’estero hanno 25 anni o più: sono poco più di 84 mila (72% del totale degli espatriati); di essi 27 mila (32%) sono in possesso di almeno la laurea. In questa fascia d’età si riscontra una lieve differenza di genere: nel 2018 le italiane emigrate sono circa il 42% e di esse oltre il 35% è in possesso di almeno la laurea, mentre, tra gli italiani che espatriano (58%), la quota di laureati è pari al 30%. Rispetto al 2009, l’aumento degli espatri di laureati è più evidente tra le donne (+10 punti percentuali) che tra gli uomini (+7%), Tale incremento risente in parte dell’aumento contestuale dell’incidenza di donne laureate nella popolazione (dal 5,3% del 2008 al 7,5% del 2018).

L’altra faccia della medaglia è costituita dai rimpatri: nel 2018, considerando il rientro degli italiani di 25 anni e più con almeno la laurea (13 mila), la perdita netta (differenza tra rimpatri ed espatri) di popolazione “qualificata” è di 14 mila unità. Tale perdita riferita agli ultimi dieci anni ammonta complessivamente a poco meno di 101 mila unità. In generale, nel 2018 il Regno Unito continua ad accogliere la maggioranza degli italiani emigrati all’estero (21 mila), seguono Germania (18 mila), Francia (circa 14 mila), Svizzera (quasi 10 mila) e Spagna (7 mila). In questi cinque paesi si concentra complessivamente il 60% degli espatri di concittadini. Tra i paesi extra-europei, le principali mete di destinazione sono Brasile, Stati Uniti, Australia e Canada (nel complesso 18 mila).


La ripresa delle emigrazioni di cittadini italiani, rileva l’Istat, è da attribuire in parte alle difficoltà del nostro mercato del lavoro, soprattutto per i giovani e le donne e, presumibilmente, anche al mutato atteggiamento nei confronti del vivere in un altro Paese – proprio delle generazioni nate e cresciute in epoca di globalizzazione- che induce i giovani più qualificati a investire con maggior facilità il proprio talento nei paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione. I programmi specifici di defiscalizzazione, messi in atto dai governi per favorire il rientro in patria delle figure professionali più qualificate, non si rivelano quindi del tutto sufficienti a trattenere le giovani risorse che costituiscono parte del capitale umano indispensabile alla crescita del Paese.

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