Descrivere i colori del mondo
Perché chiamare arrosto una fetta di seitàn? Nel piatto sono simili a vedersi, poi cominci a mangiare: la memoria gustativa riporta all’arrosto di carne, ma sapore e consistenza sono diverse: delusione.
Perché chiamare caffè la soluzione di orzo in acqua calda? Il gusto è differente: non lo si apprezza nella sua specificità.
Il primo problema della cucina vegana e vegetariana è nomenclatorio.
Sperimentare in maniera consapevole la novità significa prima di tutto pensarla e per farlo bisogna darle un nome, altrimenti tutto rimane confuso e indistinto.
Secondo un articolo del sito della Treccani, nel 90% dei nostri discorsi utilizziamo circa 2000 parole. È triste: il mondo è a colori e noi lo descriviamo in bianco e nero.
Siamo circondati di «cose» e «còsi». Le nostre percezioni si riducono a vedere, sentire, toccare, annusare. Ogni sfumatura è persa, ogni gradazione livellata. I concetti si fanno imprecisi, le emozioni appiattite. L’ignoranza linguistica si traduce in difficoltà a comprendere il mondo.
Aggiungiamo la povertà sintattica – cioè l’incapacità di strutturare un discorso in modo articolato e complesso -; la difficoltà a seguire ragionamenti astratti; la scomparsa del congiuntivo, sostituito dall’indicativo (che segna il dissolversi del pensiero ipotetico e dubitativo, sostituito dal solo pensiero assertivo), e il risultato è un mondo rinsecchito, nebuloso.
Il trionfo dell’imprecisione? Le virgolette. Invece di cercare il termine adatto per descrivere, definire, sfumare, le virgolette (scritte, dette – «è tra virgolette…», mimate) rappresentano l’accondiscendenza al va bene tutto. Tanto, tutto sfugge alla distinzione.
Scrive Italo Calvino, «al culto della precisione nomenclatoria e classificatoria, Palomar aveva preferito l’inseguimento continuo di una precisione insicura nel definire il modulato, il cangiante, il composito: cioè l’indefinibile. Ora egli farebbe la scelta opposta, e seguendo il filo dei pensieri risvegliati dal canto degli uccelli la sua vita gli appare un seguito di occasioni mancate».
La ricerca della chiarezza e dell’esattezza del pensiero e delle parole corrispondenti è un compito inesauribile. Estenuante ma ripagante, poiché è il nostro mondo interiore è un caleidoscopio, così come ricco di forme e dettagli è il mondo esterno.
Imparare a dare un nome esatto a ciò che viviamo (dentro e fuori di noi) è dunque una tappa verso la consapevolezza. Uno strumento in più per affrontare i problemi e le occasioni nel mondo che cambia, le difficoltà e le sfide del mondo che cambia, senza trasformarle in fantasmi.
In questo modo il nuovo incontrato, riconosciuto, pensato e nominato sarà una possibilità di progresso, e la vita non sarà un seguito di «occasioni mancate».