Dal ParlamentoItalia zona rossa

Che cosa ha detto il ministro Speranza alla Camera dei Deputati

Il Ministro della Salute, Roberto Speranza, alla Camera dei Deputati ha illustrato i dati e i criteri che sono stati utilizzati per definire le misure restrittive volte a contenere la diffusione dei contagi Covid-19.

Una relazione articolata che ben spiega (oltre al complesso procedimento che viene seguito) il ruolo e la responsabilità a cui sono chiamate le Regioni.

Ne riportiamo il testo integrale.


“Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, vi ringrazio di questa opportunità, che mi consente di poter informare la Camera dei deputati e, attraverso essa, i cittadini del nostro Paese in merito all’ordinanza da me adottata il 4 novembre, coerentemente con le disposizioni contenute nell’ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

In questi mesi difficili, più volte ho relazionato ed interloquito con il Parlamento, sia in Aula che nelle Commissioni competenti. L’ho sempre fatto con la serietà ed il rispetto che si deve ad un’Assemblea elettiva che rappresenta il cuore della nostra democrazia in uno dei momenti più difficili della nostra storia recente. I numeri, che rappresentano persone in carne ed ossa, continuano, ogni giorno, drammaticamente a crescere: nel mondo siamo arrivati ad un contagiato ogni 164 persone; sono 47.596.852 i casi confermati dall’inizio della pandemia e 1.216.357 quelli che hanno perso la vita. Sono cifre che parlano da sole e che danno il senso della gravità della situazione.

Prima di entrare nel merito tecnico dell’ordinanza che ho firmato mercoledì sera, mi preme sottolineare che questo provvedimento è in piena continuità con i principi ispiratori di quelli precedentemente adottati e dell’azione che il Governo ha tenuto finora. Dalle prime misure di febbraio fino al lockdown e poi ancora fino a questa ordinanza, c’è sempre stato un filo comune, che tiene insieme ogni scelta che abbiamo compiuto sin dai primissimi giorni in cui l’epidemia ha iniziato a diffondersi nel nostro Paese. Questo filo, che unisce tutti i nostri provvedimenti, è il primato della tutela della salute e l’idea di difendere le persone e la loro vita. È un principio di massima precauzione per difendere il Servizio sanitario nazionale, evitando che venga travolto, lasciando cittadini indifesi e dovendo nuovamente contare un numero di vittime inaccettabile tra le persone e anche, purtroppo, tra i nostri medici e infermieri, che non finirò mai di ringraziare per il contributo che danno ogni giorno al nostro Paese.

Voglio essere molto chiaro: non c’è un’altra strada. La massima precauzione è una via obbligata per arginare la diffusione di questa pandemia, sino a quando non avremo cure sempre più efficaci e poi, finalmente, il vaccino. Ecco perché, in questi mesi, ho ripetuto mille volte che sarebbe stato un grave errore abbassare la guardia, perdere la memoria delle giornate terribili che abbiamo passato. Ecco perché, in quest’Aula, quando l’Italia aveva il più basso tasso di contagi d’Europa, ho detto senza incertezze e mezze parole: non facciamoci illusioni, è irragionevole pensare che la tempesta che colpisce duramente l’Europa non arrivi anche in Italia.

Ho sempre pensato, e continuo a pensare, che la salute viene prima di tutto, che non ci potrà essere una reale ripartenza senza sconfiggere definitivamente questo maledetto virus. Dalla tutela della salute dipende la qualità della vita delle nostre persone e anche la stessa ripresa economica. Ecco perché occorre compiere scelte tempestive, orientate alla massima precauzione.

Si possono, del tutto legittimamente, avere opinioni differenti sulle scelte che abbiamo compiuto, ma per favore non capovolgiamo la realtà. Il Governo ha sempre considerato i rischi di una seconda ondata: quando siamo venuti in Aula qui e al Senato, a luglio, a chiedere la proroga dello stato di emergenza, abbiamo segnalato quanto fosse sbagliato lisciare il pelo a posizioni negazioniste sull’uso delle mascherine, quanto fosse sbagliato rilanciare polemiche infondate sul presunto indebolimento del virus o, ancora, difendere comportamenti irresponsabili durante l’estate o richiedere di avere protocolli di sicurezza meno stringenti.

Io credo che, andando oltre inutili polemiche, tutti dobbiamo trarre una lezione, tanto evidente quanto amara, da queste ultime settimane. Se guardiamo in particolare a quello che sta accadendo in Europa, appare ancor più chiaro che senza consistenti limitazioni dei movimenti, senza un cambio sostanziale delle nostre abitudini di vita, senza un rigoroso rispetto delle regole di sicurezza, la convivenza con il virus sino al vaccino è destinata ad un clamoroso fallimento. Questo è il punto che è di fronte a noi!In società fortemente sviluppate, in società in cui le relazioni interpersonali sono fortissime, senza ridurre gli spostamenti e le occasioni di contagio la convivenza con il virus è difficilmente realizzabile, e corre il rischio di trasformarsi in una pericolosa illusione. È sufficiente non tenere gli occhi chiusi per guardare quel che sta succedendo fuori dai nostri confini: la Francia e l’Inghilterra, due grandi superpotenze mondiali, sono travolte e costrette al lockdown nazionale; la Germania è colpita; anche Belgio, Austria, Portogallo e Grecia sono nuovamente in lockdown. In Europa, la triste e dolorosa conta degli uomini e delle donne che non ce l’hanno fatta a sconfiggere il virus è giunta a 294.622, i casi confermati sono 11.863.793, un contagiato ogni 37 persone, un dato impressionante. Sono i numeri che, nella loro forza, non hanno neanche bisogno di essere commentati o interpretati.

Anche i dati di ieri nel nostro Paese ci confermano che abbiamo fatto bene ad imprimere un’accelerazione alle nostre scelte: 34.505 casi in 24 ore è il valore più alto di contagiati in Italia dall’inizio dell’epidemia, al quale si aggiungono oltre 400 persone che hanno purtroppo perso la vita. Come è del tutto evidente, il virus non ci dà tempo, non aspetta le conclusioni delle nostre discussioni: se non lo contrastiamo adeguatamente dilaga, questa è la verità. Voglio essere ancora più esplicito. In sole tre settimane, ad ottobre, siamo passati da circa 2.500 contagiati a 20 mila, raddoppiando il dato ogni settimana per tre settimane di fila. Non possiamo stare fermi, non possiamo avere incertezze: dobbiamo muoverci con determinazione per evitare danni ancora più seri. Nessuno a nessun livello, avendo responsabilità di governo, può sottrarsi a questa incontrovertibile necessità.

Il Governo prima con l’ultimo DPCM e poi con la mia ordinanza si è assunto fino in fondo le sue responsabilità. Per me non è un merito da rivendicare o sbandierare, ma semplicemente un atto dovuto. Si tratta di un’ordinanza figlia di un lavoro lungo, faticoso, che voglio ricordare in questa sede nei suoi passaggi essenziali.

Primo: i criteri di monitoraggio su 21 parametri sono stati condivisi con le regioni in due sedute congiunte di lavoro, svoltesi il 29 e il 30 aprile. Secondo: da 24 settimane i 21 parametri di riferimento vengono utilizzati senza che una sola regione abbia mai eccepito sul modello o sugli esiti delle elaborazioni conseguenti, né mai una voce in dissenso si è sollevata dal Parlamento del nostro Paese; 24 settimane di lavoro proficuo e comune. Terzo: il documento dal quale derivano le scelte di fondo poste a base del DPCM e della mia stessa ordinanza è stato redatto da un gruppo di lavoro con Istituto superiore di sanità, INAIL, Istituto Spallanzani e la stessa Conferenza delle regioni. Quarto: la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha formalmente approvato, l’8 ottobre, questo documento, dal titolo Prevenzione e risposta a COVID-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale. Quinto: i dati posti a base delle rilevazioni vengono caricati ogni settimana dalle regioni sul database dell’Istituto superiore di sanità; la fonte dei dati, quindi, sono le regioni. Sesto: i dati vengono valutati dalla cabina di monitoraggio costituita il 29 maggio, della quale fanno parte tre rappresentanti per l’Istituto superiore di sanità, tre rappresentanti per il Ministero della Salute e tre rappresentanti designati dalla Conferenza delle regioni.

Appare evidente, alla luce di quanto detto, che in tutte le fasi del nostro lavoro c’è stato il pieno coinvolgimento delle principali istituzioni scientifiche del Paese, così come delle regioni, in uno spirito di proficua e leale collaborazione che, sin dal primo giorno, ha orientato il nostro lavoro.

Chiarito questo percorso, voglio continuare testardamente a pensare che ci siano dei limiti che la battaglia politica, anche la più aspra, non debba mai superare, tanto più dentro una grande emergenza sanitaria. Ieri, con trasparenza, sono stati presentati dai nostri scienziati tutti i parametri che hanno portato alle scelte dell’ordinanza.

In un grande Paese come l’Italia non può essere questo il terreno di una battaglia politica: lo dico con tutta la forza che ho dentro, in modo accorato. Basta, non alimentiamo polemiche: non sono utili, ma terribilmente dannose. Lasciamo fuori dalla battaglia politica le questioni scientifiche e la battaglia che il nostro Paese deve combattere insieme sulla vicenda sanitaria. Se produciamo un clima sbagliato, l’effetto sarà solo il disorientamento e la sfiducia tra i cittadini e questo ci renderà più deboli di fronte alla sfida di tutti, cioè la lotta contro il virus.

Permettetemi ora di venire al merito e ricordare che il monitoraggio su 21 criteri si costruisce attraverso tre indicatori, tre aree di indicatori fondamentali: gli indicatori di processo sulla capacità di monitoraggio, gli indicatori di processo sulla capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti; e gli indicatori di risultato relativi alla stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari.

Voglio entrare nel dettaglio. Gli indicatori di processo sulla capacità di monitoraggio sono i seguenti: 1.1) numero di casi sintomatici notificati per mese in cui è indicata la data di inizio sintomi sul totale di casi sintomatici notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo; 1.2) numero di casi notificati per mese con storia di ricovero in ospedale, in reparti diversi dalle terapie intensive, in cui è indicata la data di ricovero sul totale dei casi con storia di ricovero in ospedale notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo; 1.3) numero di casi notificati per mese con storia di trasferimento/ricovero in reparto di terapia intensiva in cui è indicata la data di trasferimento/ricovero in terapia intensiva/totale di casi con storia di trasferimento in terapia notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo; 1.4) numero di casi notificati per mese in cui è riportato il comune di domicilio o residenza/totale di casi notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo; 1.5) numero di checklist somministrate settimanalmente a strutture residenziali sociosanitarie; 1.6) numero di strutture residenziali sociosanitarie rispondenti alla checklist settimanalmente con almeno una criticità riscontrata.

Gli indicatori di processo sulla capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti sono invece: 2.1) percentuale di tamponi positivi escludendo le attività di screening e di “re-testing” degli stessi soggetti, complessivamente e per macro-setting per mese; 2.2) tempo che trascorre tra data di inizio sintomi e data di diagnosi; 2.3) tempo che trascorre tra data di inizio sintomi e data di isolamento; 2.4) numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate in ciascun servizio territoriale al contact tracing; 2.5) numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate in ciascun servizio territoriale alle attività di prelievo/invio ai laboratori di riferimento e monitoraggio dei contatti stretti e dei casi posti rispettivamente in quarantena e isolamento; 2.6) numero di casi confermati di infezione nella regione in cui sia stata effettuata una regolare indagine epidemiologica, con ricerca dei contatti stretti sul totale dei nuovi casi di infezione confermati.

Poi, ancora gli indicatori di risultato relativi alla stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari sono i seguenti: 3.1) numero di casi riportati negli ultimi 14 giorni; 3.2) Rt calcolato sulla base della sorveglianza integrata dell’Istituto superiore di sanità; 3.3) numero di casi riportati alla sorveglianza sentinella COVID-net per settimana; 3.4) numero di casi per data di diagnosi e per data di inizio sintomi riportati alla sorveglianza integrata COVID-19 per giorno; 3.5) numero di focolai attivi di trasmissione (due o più casi epidemiologicamente collegati tra loro o un aumento inatteso nel numero dei casi in un tempo e luogo definito); 3.6) numero di nuovi casi di infezione confermata da SARS-CoV-2 per regione non associati a catene di trasmissioni note; 3.7) numero di accessi al pronto soccorso con classificazione ICD-9, compatibile con quadri sindromici riconducibili al COVID-19; 3.8 tasso di occupazione dei posti letto di terapia intensiva (codice 49) per i pazienti COVID-19; 3.9) tasso di occupazione dei posti letto totali di area medica per pazienti COVID-19.

Come credo risulti evidente anche ad un non addetto ai lavori, si tratta di un lavoro complesso, di dettaglio, per mettere nelle condizioni migliori la cabina di monitoraggio di svolgere puntualmente il suo lavoro. La logica che guida le decisioni è in sé è molto semplice. Ciascuna regione viene classificata sulla base dell’incrocio di due parametri: l’indice di rischio che viene prodotto attraverso i 21 indicatori, che ho testé indicato, e gli scenari definiti attraverso l’Rt (scenario 1, nel caso in cui l’Rt sia inferiore a 1; scenario 2, nel caso in cui l’Rt sia compreso tra 1 e 1,5; scenario 3, nel caso in cui l’Rt sia compreso tra 1,25 e 1,50; da ultimo, scenario 4, nei casi in cui l’Rt supera il dato di 1,50). Con scenario 4 (Rt superiore a 1,50) e indice di rischio alto, sulla base dei 21 parametri, la regione viene collocata in zona rossa. Con un Rt, invece, compreso tra 1,25 e 1,50 (quindi, scenario 3) e indice di rischio derivato dai 21 parametri alto, la regione viene invece collocata in zona arancione. Dopo 14 giorni con scenario indice più basso, avviene una nuova classificazione da parte della cabina di regia.

In Italia, come vedete, non esistono zone verdi, perché il virus circola in tutto il nostro Paese e, quindi, essere in zona gialla non significa assolutamente essere in un porto sicuro. L’Rt, come è noto, indica il tasso di riproduzione del virus e rappresenta il numero medio delle infezioni prodotte da ciascun individuo infetto. È un numero importante al fine delle analisi e dell’adozione delle misure di prevenzione. È un indice più rilevante del numero di nuovi casi, che quotidianamente rileviamo. I casi che ogni sera registriamo rappresentano una fotografia del momento, figlia di contagi antecedenti.

Con l’Rt, invece, abbiamo indicazioni sul livello di contagiosità di un territorio e, quindi, in qualche modo, di una prospettiva di diffusione del contagio in quel territorio. È una differenza molto importante, che va considerata nelle decisioni assunte. Se un territorio, ad esempio, ha un numero di nuovi casi relativamente basso, ma un indice Rt molto alto, siamo dinanzi comunque ad un alert serio, perché ci indica che, in una situazione di pochi contagiati, se non interveniamo rapidamente, ci sarà una forte espansione del contagio. Il coefficiente di rischio, che prima ho esplicitato, costruito sui 21 parametri, è invece un algoritmo funzionale al grado di resilienza dei servizi sanitari regionali: posti in terapia intensiva, posti occupati in ospedale e in area medica, il rapporto tra operatori sanitari e carichi di lavoro, la capacità di tracciare i contagiati e la puntualità dei dati – senza riportare puntualmente, ad esempio, la data di inizio sintomo, l’Rt non si può determinare con precisione – o ancora la qualità delle prestazioni erogate, i tempi per fare i tamponi, i tempi per la diagnosi. Come vedete, si tratta di un lavoro di raccolta dati imponente, di cui le regioni si fanno carico per dimensioni e conseguenti tempi di lavoro, che non possono essere quelli della base giornaliera. Per questo le valutazioni hanno bisogno di almeno una settimana per essere attendibili, perché i dati possano stabilizzarsi e poter essere studiati rispetto all’evoluzione del contagio e i parametri del rischio. Questo meccanismo di valutazione viene svolto da questa cabina di monitoraggio, e solo al termine del suo lavoro trasferisce i risultati al Ministero della Salute e al Comitato tecnico-scientifico. Si tratta, dunque, con ogni evidenza, di un procedimento complesso, rispetto al quale il Ministro della Salute prende atto del lavoro svolto dalla cabina di regia e firma un’ordinanza, che recepisce i dati trasmessi ai sensi dell’ultimo DPCM.

Voglio evidenziare, ancora una volta, il ruolo preminente delle valutazioni di ordine scientifico nella definizione delle scelte che compiamo. È, infatti, un procedimento standardizzato su parametri scientifici. La mia ordinanza è conseguenza automatica dei dati elaborati attraverso il flusso che ho puntualmente descritto. Per questo non ci sono trattative, ma ci sono semplicemente scambi di dati e di informazioni. Gli obiettivi del procedimento che abbiamo strutturato sono molteplici.

Il primo: è finalmente possibile con questo meccanismo intervenire proporzionalmente alla reale condizione delle regioni, senza stressare con misure uguali territori che si trovano in condizioni differenti. Il secondo: si dà certezza al Paese con misure predefinite, a seconda dell’indice di rischio e dello scenario di Rt. In terzo luogo, avendo una radiografia puntuale delle condizioni di ciascuna area del Paese, si offre un utile strumento di analisi alle regioni, per monitorare e migliorare il loro lavoro.

Lo spirito, dunque, con il quale ci muoviamo è l’esatto opposto di uno spirito punitivo nei confronti delle regioni. Noi ci assumiamo la responsabilità di adottare provvedimenti per aiutare le regioni ad appiattire la curva del contagio ed evitare l’esplodere di nuovi focolai. Sappiamo bene che le misure comportano sacrifici, ma non abbiamo alternative, se vogliamo superare questa fase. Questo è il nostro assillo, perché, se è vero che sono tantissimi i casi positivi asintomatici, è altrettanto vero che questa volta sono colpite tutte le regioni e, quindi, è molto più difficile la gestione di questa ondata.

Anche sul punto della significativa prevalenza di asintomatici, attenzione a non coltivare pericolose illusioni. Se continua ad alzarsi il numero di contagiati, inevitabilmente aumenta in proporzione la quota di anziani, di soggetti fragili, affetti da uno o più patologie, e, conseguentemente, aumenteranno i ricoveri, i posti occupati in terapia intensiva, ed è inevitabile anche che più persone perderanno la vita.

In questi mesi, abbiamo certamente fatto dei passi in avanti, dalla produzione delle mascherine, oggi siamo autosufficienti, all’aumento delle terapie intensive, all’assunzione di circa 37 mila nuovi professionisti sanitari; facevamo 27 mila tamponi a marzo, ieri ne abbiamo fatti poco meno di 220 mila e nelle prossime settimane saliremo ancora grazie ai test antigenici e alla collaborazione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, che considero un pezzo essenziale del nostro Servizio sanitario nazionale.

Ma non c’è dubbio che paghiamo il prezzo per un Servizio sanitario nazionale che merita di ricevere ancora molti più investimenti e di vedere chiusa definitivamente la stagione dei tagli. Il primo punto su cui investire deve essere proprio il territorio, che in molte aree del Paese è, invece, purtroppo, un punto di debolezza.

Attenzione, se non fermiamo la curva, il nostro personale sanitario non ce la farà a reggere l’onda d’urto; paghiamo il prezzo di aver tenuto per troppi anni una norma che ha bloccato la spesa per il personale sanitario a quella del 2004, meno l’1,4 per cento. Per me questo, quello del personale, è il problema più serio col quale fare i conti. Un respiratore, una mascherina si possono comprare; un medico, un anestesista, un infermiere non si possono acquistare al mercato; non si può improvvisare, ci vogliono anni di formazione e di investimento e dobbiamo avere il coraggio di dire questa verità. A marzo abbiamo concentrato tutte le nostre forze in alcune aree, oggi dobbiamo fare fronte ad un’epidemia nazionale; è completamente un’altra partita, per dimensioni e perché non tutte le sanità regionali hanno la stessa forza e la stessa resilienza. Ecco, perché, lo ripeto anche oggi in quest’Aula, non dobbiamo perdere tempo in polemiche inutili e faziose, dobbiamo solo lavorare insieme, lavorare insieme, lavorare insieme.

Così fa un Paese forte, un Paese maturo. Io, come è giusto che sia, da Ministro della Salute, mi sono assunto negli ultimi giorni, con quell’ordinanza, e continuerò ad assumermi senza esitazioni le mie responsabilità, in piena sintonia con il Presidente del Consiglio dei Ministri e con tutti i Ministri del Governo; da Ministro della Salute, mi guidano la Costituzione, a partire dall’articolo 32, e l’assillo di fare tutto il possibile per arginare la pandemia e garantire, anche dentro questa tempesta, il diritto alla salute agli italiani. Il nostro unico nemico è il virus, come ci ha ricordato, giorni fa, il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella; ci aspettano mesi non facili, ma abbiamo l’energia, le risorse e la forza per piegare nuovamente la curva. In primavera, l’Italia, tutti noi, insieme, senza distinzioni, abbiamo dimostrato di essere un grande Paese, dimostriamolo ancora una volta”

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *