Aborto : scelta difficile o scelta impossibile?
di Chiara Barison e Chiara Lovera – Psicologa e Psicoterapeuta dell’età evolutiva
Si dice: “Una donna dev’essere felice per una gravidanza”, parliamo di “dolce attesa” trascurando spesso il lato oscuro della gravidanza e della maternità. La gravidanza per quanto oggi medicalizzata, imbellettata negli spot pubblicitari è un momento delicato e complesso nella vita di una donna dove la Natura si compie in modo evidente ed ineluttabile.
Quando parliamo di interruzione di gravidanza dobbiamo porci la domanda: che cosa significa gravidanza – aspettare un bambino – per questa donna qui?
La gravidanza è frutto di una violenza? Di un errore nell’uso dei contraccettivi? E’ desiderata ma si teme di non riuscire ad essere una madre adeguata?
Le ricerche mostrano come la scelta di interrompere una gravidanza sia sempre sofferta anche quando le motivazioni che spingono ad un’interruzione sono state ragionate. Può esserci un iniziale sollievo ma in un secondo tempo possono irrompere sentimenti contrastanti rispetto alla scelta compiuta.
L’aborto è un evento che dev’essere integrato nella propria storia individuale: può essere scelto sentendosi sole e non sostenute dal patner o dalla famiglia d’origine, provando sentimenti di vergogna per la propria condizione e in seguito di colpa – avrò fatto la cosa giusta?- .
In seguito molte donne provano una profonda tristezza per la possibilità – nonostante tutto – di non essersi concesse di portare a termine la gravidanza, di aver “abortito” il progetto creativo di coppia, di aver dato alla luce la morte. L’elaborazione di un aborto è l’elaborazione di un lutto. Muoiono dentro di sé il bambino immaginato e la madre immaginata.
Le donne che affrontano un’ interruzione di gravidanza vanno sostenute e non giudicate in tutte le fasi da attraversare per portare a termine la loro scelta.
(Per un approfondimento https://alleyoop.ilsole24ore.com/2020/07/01/aborto/?)
Le zone d’ombra lasciate dalla legge sull’aborto non fanno altro che incrementare il ricorso alle pratiche clandestine. Le stime parlano di un dato che oscilla tra le 10 e le 13 mila donne l’anno che evitano le strutture ospedaliere per interrompere una gravidanza.
La legge che sancisce i confini per l’attuazione dell’interruzione di gravidanza è la 194 del 22 maggio 1978, confermata con referendum del 1981. Fino a quel momento, l’aborto era considerato un reato contro l’integrità e la sanità della stirpe.
Il principio legislativo cardine è la tutela della salute fisica e psichica della donna, perciò la gravidanza può sempre essere interrotta in caso di grave pericolo per la vita della gestante o del feto.
In caso contrario, entro e non oltre i primi 90 giorni dall’ultima mestruazione, la donna può esprimere la volontà di non portare a termine la gravidanza.
Di fatto, in alcune Regioni la percentuale di ginecologi obiettori di coscienza è così elevata da rendere il dettato legislativo lettera morta.
Nonostante il 1978 non sia poi così lontano, nel corso degli anni il diritto delle donne italiane di abortire è stato spesso messo in discussione.
L’ultima della lista dei detrattori dell’IVG (interruzione volontaria di gravidanza, ndr) è l’Umbria, che ha previsto l’obbligo di ricovero ospedaliero anche in caso di assunzione della RU486, con la pretesa di tutelare maggiormente la salute della donna che decide di ricorrervi.
Per non fare confusione, è necessario chiarire la distinzione tra pillola del giorno dopo e RU486. La prima viene considerata un contraccettivo d’emergenza ed è possibile acquistarla in farmacia senza ricetta medica. Deve essere assunta possibilmente entro le 24 ore dopo il rapporto a rischio e impedisce la fecondazione.
Al contrario, la pillola abortiva RU486 – introdotta nel nostro Paese nel 2009 – può essere somministrata solo in caso di accertato stato di gravidanza e costituisce una valida alternativa all’aborto chirurgico. I dati che emergono dall’ultima relazione del Ministero della salute sono sconfortanti: solo il 21% delle donne italiane ricorre all’IVG farmacologica contro una percentuale che sfiora il 100% in Finlandia.
Tenuto conto dei minori rischi per la salute della donna, anche solo in termini d’invasività della procedura, la bassissima percentuale si spiega tenendo conto di due fattori. In primo luogo, la maggior parte delle Regioni prevede un regime di ricovero ordinario fino all’espulsione del prodotto del concepimento. Inoltre, a differenza degli altri Paesi europei, in Italia è possibile ricorrere alla RU486 solo entro le 7 settimane invece di 9.
La riflessione proposta non può e non vuole essere definitiva ma si augura di essere uno spunto per non smettere di interrogarsi sui diritti delle persone e sul destino della cura delle persone stesse: come possiamo fare affinchè una scelta difficile non diventi impossibile?
Inoltre si augura di porre l’attenzione su una questione latente: come una certa cosa diventa cultura?