13 maggio: ricordare i manicomi, celebrare la dignità delle persone
di Umberto D’Ottavio
Compie 42 anni la legge Basaglia approvata il 13 maggio del 1978, decretò la chiusura dei manicomi aveva come titolo “accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” e solo all’articolo 8 stabiliva che “le norme di cui alla presente legge si applicano anche agli infermi ricoverati negli ospedali psichiatrici al momento dell’entrata in vigore della legge stessa”.
Erano 60 gli ospedali psichiatrici in Italia e nel 1978 ospitavano circa 100.000 degenti per i quali cominciava una nuova vita perché la legge disponeva che “negli attuali ospedali psichiatrici possono essere ricoverati, sempre che ne facciano richiesta, esclusivamente coloro che vi sono stati ricoverati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge e che necessitano di trattamento psichiatrico in condizioni di degenza ospedaliera.” Cominciava così il processo di chiusura frutto di una lotta cominciata negli anni precedenti e che, senza l’approvazione della legge, avrebbe portato ad un referendum popolare, promosso dal Partito Radicale, per l’abrogazione degli articoli essenziali della precedente.
Infatti venivano abrogati gli articoli 1, 2, 3 e 3-bis della legge 14 febbraio 1904, n. 36, concernente “Disposizioni sui manicomi e sugli alienati”.
La legge 180 ha avuto il merito di aprire una riflessione più generale sul fatto che in ogni tipo di società ci sono i poveri, i deboli e gli indifesi, ma che comunque il loro stato non ne lede necessariamente la dignità.
È l’atteggiamento o la
reazione altrui che può costituire un’offesa alla dignità dell’individuo. La
triste realtà è che di solito viene lesa o calpestata proprio la dignità di
coloro che si trovano in situazioni sfavorevoli. Quante volte, nei casi di
maltrattamento, anziani, poveri e persone fisicamente o mentalmente disabili
vengono definiti un peso o una nullità!
La
Corte
costituzionale, nella sentenza n. 293 del 2000, ha affermato che
«Quello della dignità della persona umana è, infatti, valore costituzionale che
permea di sé il diritto positivo». Per questo la dignità della persona deve
sempre riferirsi alla persona umana concreta, quale essa è e non quale dovrebbe
essere secondo punti di vista religiosi, filosofici o ideologici. La dignità
implica che l’identità specifica di ciascun individuo venga preservata e
considerata, come è scritto testualmente nella sentenza n. 13 del 1994 della
Corte costituzionale, che afferma che essa «un bene per sé medesima,
indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti
del soggetto, di guisa che a ciascuno è riconosciuto il diritto a che la sua
individualità sia preservata». La dignità non appartiene a chi se la merita,
secondo criteri di valutazione assunti dalle leggi dello Stato o risultanti
dalla cultura dominante, ma a tutte le persone, qualunque sia o sia stato il
loro comportamento. Essa non è soltanto una «dote» dell’essere umano, ma si
identifica con la persona per il semplice motivo che un individuo privato della
sua dignità soffre della negazione della sua stessa umanità. Seppur al tempo l’approvazione della
legge sia stata accolta da non poche incertezze, in una società impreparata ad
affrontare malattie fino a quel momento gestite solo in strutture dedicate, uno
degli scopi primari della legge Basaglia era ed è proprio l’integrazione sociale dei malati. A ogni
paziente va garantito il rispetto dei
suoi diritti, permettendogli di mantenere una rispettabile qualità della vita e
di affrontare la terapia senza rinunciare ai rapporti umani, scegliendo anche,
se le sue condizioni lo permettono, a quali medici affidarsi e dove effettuare
le cure.
In quegli
anni furono simbolici gli abbattimenti dei muri che circondavano gli ospedali
psichiatrici. In molte situazioni si trattò di un vero e proprio movimento di
liberazione che coinvolse studenti e intellettuali oltre che amministrazioni
locali.
Per esempio a
Collegno, sede di uno dei più grandi manicomi italiani, l’abbattimento del muro
di cinta rappresentò un vero e proprio ingresso della città e dei cittadini
dentro un’istituzione chiusa e con persone segregate.
In moltissimi hanno scritto libri e di grande impatto sono le mostre fotografiche con immagini che più di mille parole documentano la condizione di uomini e donne rinchiusi dentro le mura degli ospedali psichiatrici.
Forse non basta ricordare,forse è meglio compiere un altro passo avanti, per esempio istituire la Giornata nazionale della dignità della persona e potrebbe essere proprio la data del 13 maggio di ogni anno. Non solo perché non si riaprano mai più i manicomi, ma per i rispetto dei più deboli, a cominciare dai malati.
Umberto D’OTTAVIO
L’Articolo di oggi, che leggo su La Voce della Dora, che seguo abbastanza sistematicamente, descrive molto bene il problema dei manicomi e del grande gesto di civiltà che è stato compiuto, nel ns Paese, con la loro chiusura che ha permesso di liberare uomini e donne che avevano perso conoscenza di sè, del mondo e della loro dignità, passando dallo sconfinato oblio alla luce in fondo al tunnel.
E’ giusto quindi, come l’Articolo fa molto bene, mettere la dignità umana sotto i riflettori, per indurre alla riflessione.
E la riflessione che l’Articolo mi induce é che spesso ci lasciamo prendere dai simboli e poco ci accorgiamo del “manicomio open space” di oggi, dove una moltitudine di persone sono continuamente e sistematicamente spogliate della loro dignità, come la stessa emergenza in corso dimostra.
Sarebbe superfluo elencare qui le casistiche di situazioni e persone , in perenne attesa, alla ricerca della loro dignità, che vivono nella più assoluta indigenza o con paghe di pochi spiccioli/ora sotto una logica di sfruttamento, quasi alla luce del sole.
Anche la nostra burocrazia avrebbe ben bisogno di uno sconfinato bagno di dignità!