Tutti ne parlano, ma cosa ha detto Mario Draghi?
La pandemia di corona virus è una tragedia umana di proporzioni bibliche. Molti uomini vivono oggi con la paura di morire o nel lutto per aver perso i propri cari. Le azioni intraprese dai nostri governi per evitare il collasso dei sistemi sanitari sono state coraggiose e devono essere supportate.
Tuttavia queste azioni comportano, da un punto di vista economico, un costo enorme ed inevitabile. Il corona virus non solo uccide molte persone, ma ne lascia un numero ancora maggiore senza possibilità di sostentamento.
L’economia peggiora giorno dopo giorno, le imprese subiscono perdite, molte aziende sono costrette a ridimensionarsi e licenziare i propri dipendenti. Una crisi economica è ormai inevitabile.
La sfida che ci troviamo ad affrontare è come agire con forza e rapidità sufficienti affinché questa crisi non si trasformi in una recessione di lungo periodo, a seguito del fallimento di un numero di imprese tale per cui le conseguenze sarebbero irreversibili. È ormai chiaro a tutti che la risposta a questa crisi deve essere un aumento del debito pubblico. Le perdite del settore privato – e i debiti ad esse associati – devono essere assorbiti, in tutto o in parte, dai bilanci degli Stati. L’aumento del debito pubblico sarà una caratteristica permanente delle nostre economie e sarà accompagnato dalla cancellazione di una parte dei debiti dei privati.
Il ruolo economico di uno Stato è infatti quello di proteggere i cittadini e l’economia da shock che il settore privato non è in grado di assorbire e di cui non è responsabile. Non sarebbe la prima volta che uno Stato interviene per far fronte ad emergenze nazionali. Le guerre – ad esempio – sono sempre state finanziate da debito pubblico. Durante la prima guerra mondiale, in Italia e in Germania solo una percentuale tra il 6% e il 15% venne finanziata con le tasse. In Austria, Russia e Francia, la guerra fu finanziata senza far ricorso ai proventi delle tasse. Se ai tempi i proventi fiscali erano limitati a causa del reclutamento e dei danni della guerra, ora lo sono a causa della chiusura delle fabbriche e della sofferenza umana.
La domanda che dobbiamo porci non è pertanto se lo Stato debba intervenire con interventi di finanza pubblica, ma come lo debba fare. La priorità non deve solo essere quella di dare un reddito a chi perde il lavoro. Dobbiamo, in primo luogo, proteggere le persone affinché non perdano il lavoro. Se così non fosse, usciremmo da questa crisi con un maggiore tasso di disoccupazione e minore capacità produttiva di lungo periodo, dal momento che sia le imprese che le famiglie faranno fatica a ricostruire la loro ricchezza.
I sussidi all’occupazione, i sussidi di disoccupazione e il posticipo del pagamento delle tasse sono passi importanti che sono già stati introdotti da molti governi. Tuttavia, la protezione del livello di occupazione e della capacità produttiva di un Paese richiedono un’immediata immissione di denaro liquido nell’economia. Ciò è essenziale affinché le imprese possano far fronte alle spese correnti durante la crisi, sia che esse siano grandi imprese, piccole-medie imprese o imprenditori individuali (le cosiddette partite IVA). Molti governi hanno già introdotto misure volte a dare liquidità ad aziende in crisi, ma un approccio più sistematico è ora necessario.
Dal momento che il tessuto industriale e finanziario dei vari Paesi europei è molto eterogeneo, il solo modo per aiutare immediatamente ogni settore dell’economia è mobilitare l’intero settore finanziario: il mercato obbligazionario, specialmente per le grandi imprese, il sistema bancario e, in alcuni paesi, persino il sistema postale. E bisogna agire subito, evitando qualsiasi ritardo burocratico. Il sistema bancario, in particolare, si estende su tutto il territorio e impatta l’intero tessuto economico del paese, e può facilmente creare liquidità aprendo linee di credito e autorizzando scoperti bancari.
Le banche dovrebbero prestare denaro a costo zero ad aziende che cercano di salvaguardare posti di lavoro. Agendo per conto del governo, il capitale necessario deve essere fornito dal governo sotto forma di garanzie sui prestiti e gli scoperti. Allo stesso tempo, ostacoli normativi né richieste di garanzie devono limitare la capacità del sistema bancario di fornire liquidità alle aziende. Inoltre, il costo delle garanzie dei governi deve essere zero, indipendentemente dal rischio di credito dell’impresa che le riceve e dal costo per il governo che le emette.
Le imprese, a loro volta, non devono prendere denaro a prestito solo perché costa poco. In alcuni casi, ad esempio per imprese con ordini arretrati, le perdite possono essere recuperate così da poter ripagare i debiti. In altri settori, questo potrebbe non essere possibile. In questi casi le aziende potrebbero comunque essere in grado di assorbire la crisi per un breve periodo di tempo ed emettere debito per rimanere operative. Le perdite accumulate, tuttavia, potrebbero minare la loro futura capacità di investimento. E, se la pandemia dovesse durare a lungo, potrebbero sopravvivere solo se il debito che hanno emesso per far fronte all’emergenza venisse cancellato.
Se così fosse, o i governi pagano i debiti delle imprese, o fanno da garanti nei confronti dei creditori. Se si riuscisse ad evitare problemi di azzardo morale (per le imprese ci sarebbe un incentivo a prendere a prestito più del necessario vista la garanzia dello Stato), la prima soluzione sarebbe preferibile. La seconda sarebbe tuttavia meno costosa per il bilancio dello Stato. In entrambi i casi sarebbe compito del governo assorbire le perdite causate dalla crisi se si vogliono proteggere i posti di lavoro e la capacità produttiva del Paese.
Il debito pubblico deve pertanto aumentare. L’alternativa – una diminuzione permanente della capacità produttiva e, di conseguenza, del gettito fiscale – sarebbe molto più deleteria per l’economia e per il bilancio dello stato. Teniamo presente che visti i tassi di interesse presenti e futuri, un aumento del debito non impatterebbe in modo significativo sul costo del debito.
Per certi aspetti, l’Europa è attrezzata per far fronte a questa emergenza. Ha un sistema finanziario granulare capace di raggiungere qualsiasi settore economico. Ha un forte settore pubblico capace di implementare rapidamente qualsiasi decisione politica. La velocità di reazione è essenziale in questi casi per l’efficacia degli interventi.
A fronte di circostanze imprevedibili, in questa crisi, così come in tempo di guerra, è necessaria una mentalità diversa. La crisi che stiamo vivendo non è ciclica. Le perdite economiche non sono colpa di chi le subisce. Il costo di aspettare potrebbe essere irrecuperabile. Il ricordo delle sofferenze degli Europei negli anni 20 del Novecento dovrebbe essere un monito sufficiente.
La velocità con cui il settore privato si sta deteriorando – a causa della inevitabile quanto desiderabile chiusura delle fabbriche – deve essere pari alla velocità di intervento dei governi nell’uso del debito, nel mobilitare le banche e, in quanto Europei, nel supportarci a vicenda nel raggiungimento di un obiettivo comune.
Traduzione italiana dell’articolo di Mario Draghi sul Financial Times – 25 Marzo 2020
Condivido, ma imprese già indebitate, aggiungerebbero debiti su altri debiti. Lo Stato deve trovare il meccanismo per farsi carico del mancato guadagno delle imprese che hanno subito, forti o come in molti casi, la perdita totale degli incassi. Non serve dilazionare le tasse, vanno azzerate completamente.
Concordo col precedente commento:la situazione economica asfittica di voi ritrae dal 2008, le imprese e o stremate, anche quelle che esortavano abitualmente ed ora si ritrovano totalmente scoperte
Concordo col precedente commento:la situazione economica asfittica si protrae dal 2008, le imprese sono stremate, anche quelle che esportavano abitualmente ed ora si ritrovano totalmente scoperte