LO SMART WORK TRA SFIDE ED OPPORTUNITÀ
di Carlo Cumino
In questi giorni di isolamento forzato per molte persone i vari mezzi di comunicazione hanno preso con sempre maggior forza a sottolineare l’importanza di quello che nell’ordinamento italiano viene definito il cosiddetto “lavoro agile”, più comunemente noto con l’incorretto appellativo inglese di smart working (al posto del più corretto smart work)
A livello internazionale del tema del lavoro agile è oggetto di discussione già dal 2014, tuttavia nel nostro paese (a discapito della sua introduzione ad opera del governo Gentiloni nel 2017) fino a poco tempo da si trattava di una realtà prevalentemente in crescita presso le grandi aziende a risultare maggiormente coinvolte, rispetto alle PMI e alle pubbliche amministrazioni (secondo i dati dell’osservatorio del Politecnico di Milano il tasso di coinvolgimento -in inglese engagement – delle piccole realtà a fine ottobre 2019 era del 12% quello della PA il 16% rispetto invece al 58% delle grandi compagnie).
Come fatto notare recentemente anche da Milena Gabanelli, le ragioni di questa disparità sono da ricercarsi non solo nell’assenza di copertura internet in molte zone del nostro paese ma anche dalla profonda differenza filosofica: la cultura manageriale italiana è tradizionalmente incentrata sul controllo e valutazione da parte del datore di lavoro del comportamento del lavoratore, viceversa quella del lavoro agile è contraddistinta dalla fiducia del datore verso il lavoratore nel raggiungere gli obbiettivi prefissati. A quest’ultimo viene infatti data ampia autonomia organizzativa, purché il raggiungimento dei traguardi concordati (esempio incrementare le vendite del 3% annuo), elemento che differenzia lo smart work anche dal tradizionale telelavoro. Lo smart worker può volendo anche effettuare le sue mansioni dal proprio dispositivo e da qualunque luogo dotato di connessione Wii-Fii (come i bar, parchi oltre ai cosiddetti spazi di co-working) e deve essere quindi corrisposto al pari di chi lavora in maniera tradizionale.
Si tratta quindi di un vero e proprio scontro generazionale fra due diverse visioni del lavoro e dei rapporti al suo interno.
Vi è anche chi sostiene che sarebbe improprio parlare di vero e proprio smart work, dato che (a causa della situazione straordinaria) il COVID-19 avrebbe solamente costretto le persone a lavorare da casa. È indubbio però che le attuali circostanze hanno imposto aziende e PA ad adeguarsi (seppur in parte) ad alcuni principi dello smart work e ciò un profondo cambiamento nell’atteggiamento italiani verso alcuni aspetti questa nuova modalità lavorativa (fra cui la flessibilità e la maggior importanza data ai risultati), che continuerà a diffondersi sempre di più nei prossimi anni, anche alla luce che dei vantaggi che può offrire non solo alle aziende (con una riduzione dei costi di luce ed affitto), ma anche alle persone (la flessibilità consente al lavoratore di trovare più tempo per la famiglia) e anche l’ambiente.
Anche la regione di Wuhan e la Cina hanno sperimentato un’esperienza simile negli scorsi mesi.
Il cornavirus ci sta portando di fronte ai limiti del nostro paese in molti campi, costringendoci a cambiare e rivalutare noi stessi. La cosa migliore che possiamo fare è cercare di trarne il meglio.
Lo smart work non è una panacea. I rischi non mancano e non è detto che sia una metodologia valida per tutti i lavori, sebbene dalla sua filosofia si possono apprendere importanti lezioni da cui partire per costruire un ambiente lavorativo maggiormente incentrato sulle persone e sulla fiducia, componente essenziale di ogni rapporto.
[1] Il termine “working” in inglese è il tempo verbale corrispondente al nostro gerundio, che viene utilizzato per indicare azioni in corso.
lo Smart Working NON deve essere basato sulla fiducia (presupposto che tuttavia non dovrebbe mancare in ogni rapporto di lavoro) e sono POCHI i mestieri che non permettono di attuarlo. Ma come tutte le scelte organizzative e metodologiche, non può essere lasciato al caso.
Lo Smart Working va ragionato, impostato in maniera da soddisfare sia le esigenze del datore/datrice di lavoro che quelle del lavoratore/lavoratrice; non va considerato come una soluzione on/off, sì/no, ma (in situazioni normali) calibrato con il lavoro in azienda; deve essere basato su modalità e criteri oggettivi, misurabili, in modo da non discriminare chi sì o chi no.
Già più di 10 anni fa, quando il particolare il Piemonte dedicò molte risorse dei Fondi Europei a sviluppare modelli di lavoro innovativi e flessibili per la “Conciliazione dei Tempi” nel mondo del lavoro, con alcuni colleghi ho studiato e condotto in aziende diverse progetti di telelavoro, concepito già allora come Smart Working, e scritto un opuscolo esplicativo: “il Telelavoro, questo sconosciuto”. Lo riscopro attuale, anche se gli aspetti tecnologici là citati hanno ovviamente fatto balzi in avanti.
Peccato dover constatare che solo una pandemia ha spinto la ns. società a compiere un piccolo balzo in avanti su questo tema. Resta la speranza che non si facciano troppi danni ‘raffazzonando’ soluzioni di smart working in questo periodo, e che invece resti la voglia di lavorare ‘agilmente’ o ‘intelligentemente’ (corretto significato di ‘smart’) anche quando la situazione si sarà normalizzata.
Chi di noi ha esperienza sul tema certo sarà più che disponibile a condividerla, per contribuire all’efficientamento e modernizzazione delle imprese.
Buona serata, sono l’autore dell’articolo.
Innazitutto, ringrazio per i commenti e per i complimenti.
Vorrei solo chiarire un punto, il primo da lei sollevato.
Nei fatti quando si applica un orario di lavoro come quello dei paesi nordici (basato sul lavoro agile), dove nel monte ore può rientrare la lettura di un fascicolo a casa o una libertà di organizzare il proprio tempo nei fatti si sta dando fiducia al lavoratore (o meglio alla persona), oltre che responsabilità.
Le culture lavorative dei vari paesi sono differenti, e lo smart work nasce in paesi che vedono nell’avere fiducia nel permettere al lavoratore di autorganizzarsi, certo sempre con l’obbiettivo (come detto da lei) di coincilliare le varie esigenze.
Volente o nolente ci si deve fidare delle persone costrette a stare a casa
PS: grazie per aver trattato il tema. Sarebbe utile che molti più ne parlassero!