Scrivi un racconto.
Stiamo ricevendo le prime risposte al nostro invito a scrivere un racconto visto che stiamo a casa. Il primo è di una persona che a casa non ci può stare! Scrivere a lavocedelladora@gmail.com
Titolo: h7
h 7. Il mio turno notturno è finito. Sarà il milionesimo in questi 10 anni.
Ieri sera ho fatto il mio solito tragitto in auto, parcheggiato il più vicino possibile all’ingresso, mi sono cambiata nel solito spogliatoio, ho spinto il mio zaino nell’armadietto facendo cadere, come sempre, le mille cose che ho dentro, mi sono sistemata in triage storcendo il naso perché come sempre non azzecco mai la password del pc al primo tentativo, ho mangiato il mio solito panino alle 4 con la solita voracità.
Davanti a me, però, la sala d’attesa è vuota. Questo è strano. Questo non è il solito scenario. Non sembra di essere immersi nel mercato di Porta palazzo. Nessun insulto. Nessun “guarda che te lo pago io lo stipendio!” “vorrei vedere te al posto mio!” ecc, ecc.
Penso a questi giorni. Sono state spese tante parole, innumerevoli riflessioni, scorci di realtà, timori, speranze, una raffica di informazioni. E alla fine eccomi qui, anche io. È inevitabile. Dai, è inevitabile.
“Siete degli eroi, siete degli angeli, come faremmo senza di voi..”.
No. Noi siamo sempre gli stessi. Gli stessi che lavorano sui tre turni, tutto l’anno, a Natale ed in tutte le festività. Gli stessi che vedono le persone morire, che siano neonati o anziani. Gli stessi che corrono in sala anti shock per attendere l’ingresso di un codice rosso.
Noi qui ci sporchiamo le mani e l’anima ogni giorno, e nessuno cerca meriti o ringraziamenti (se così fosse credo che tutti si licenzierebbero dopo tre giorni).
Avete ragione “è il nostro lavoro”.Un lavoro come tutti.
Quindi nessun grazie, solo rispetto. Ma non solo per noi che in questo momento delicato ci troviamo in prima linea, per tutti.
Per tutti in generale, nella vita quotidiana. Smettiamola di “sperare che non succeda a noi”, smettiamola di dare le cose per scontate, di giudicare realtà che non ci appartengono. Prendiamoci cura di noi e delle nostre persone, nei piccoli gesti, nell’esserci in mondo incondizionato, nell’andare oltre ad una “divisa”.
È un peccato che ci sia voluto tutto questo casino, ci sia voluta la paura, per innescare queste considerazioni in tutti.
Ma va bene cosi.
Testa alta, si entra nell’arena.
Ora crollo, come sempre.
Stanotte si replica.
“Come sempre” che bel suono che fa.
Simona Pastore, ospedale di Rivoli
Quando I miei Nonni mi raccontavano della Guerra.
Di questi scenari inverosimili,così lontani dal mio mondo.
Un mondo in piena ripresa economica un mondo dove si annunciava lavoro e prosperità dove tutto era da costruire. Simile alla felicità.
I loro racconti con occhi lucidi talvolta con le lacrime agli occhi descrivecano la PAURA.
Questa Paura si chiamava GUERRA.
Oggi anch’io conosco la Paura la vedo negli occhi di mia madre,di mio fratello ne parlo con i miei amici, la vedo al supermercato la Paura è in ogni persona che incontro.
La differenza è che i miei Nonni avevano la possibilità di guardare il nemico negli occhi.
IL MIO NEMICO È INVISIBILE