D’Ottavio: non ci resta che vincere!
di Rosanna Caraci
Onorevole Umberto D’Ottavio, si candida alle elezioni regionali del 26 maggio. Una candidatura che arriva in un momento difficile per il centrosinistra e per il Pd.
E’vero! Le elezioni regionali in Piemonte la Sardegna, Molise, Abruzzo e Basilicata, appuntamenti nei quali per il Partito Democratico arrivare secondi, prima del M5S è stato salutato come un buon risultato. Questo la dice lunga sulle nostre difficoltà a livello nazionale.
Anche in Piemonte il PD si accontenta di arrivare secondo?
In Piemonte dobbiamo vincere, non si corre per arrivare secondi. Chiamparino è la persona giusta per consentire al Centro Sinistra di continuare a dare alla Regione la prospettiva di uno sviluppo sostenibile, i partiti al governo hanno abbandonato Torino e il Piemonte, non stanno facendo nulla. Inoltre, dobbiamo ricordare come si è conclusa in Piemonte la legislatura a trazione leghista, con il Piemonte umiliato dalle mutande verdi. Non dobbiamo avere memoria corta e dobbiamo ripartire da quanto siamo stati in grado, con l’amministrazione Chiamparino, di riattivare positivamente. Dobbiamo andare avanti e Sergio è il giusto candidato per consentirci obiettivi importanti.
Perché ha scelto di candidarsi?
Mi ha convinto Chiamparino con la sua scelta di ricandidarsi e ho risposto alla richiesta di impegno diretto di mettere in campo le competenze e le esperienze di rapporto con i cittadini, le proprie capacità. E’ una chiamata alle armi che ho sentito forte: ho un bagaglio da mettere a disposizione del mio territorio e lo farò candidandomi al Consiglio Regionale.
I sondaggi, a guardarli, danno un PD molto staccato dalla vetta
Il clima che sembra ovunque favorire il centrodestra non deve farci perdere di vista l’obiettivo. Vincere in Piemonte. Non è impossibile: il lavoro del nostro segretario nazionale Zingaretti sta recuperando fiducia del nostro elettorato storico, quello che negli ultimi anni ha preferito guardarci da lontano, scettico e senza partecipare attiva alla politica. Sono cambiati i toni, il campo che inquadra l’orizzonte è largo, aperto al dialogo e al confronto: è un buon segno.
Il Piemonte, quanti sanno cos’è?
Non è una espressione geografica, qui c’è storia! Torino è la capitale, ma la forza economica e produttiva delle altre province è determinante per la Regione.
Che idea ha della lista che è stata presentata?
La lista del Partito democratico è composta da persone serie e competenti, un ottimo equilibrio tra continuità e rinnovamento, dove tutti hanno chiaro cosa significa far parte di un Consiglio Regionale. Dopo la riforma al titolo V della costituzione, le Regioni hanno assunto un ruolo fondamentale per la stesura e la promulgazione di leggi e provvedimenti che rispondono direttamente alle esigenze del territorio.
Con lei, la Zona Ovest ha la possibilità di sedersi a Palazzo Lascaris?
Questa zona, negli ultimi 15 anni ha avuto in Regione per il Partito Democratico un solido riferimento in Nino Boeti. E’ importante che ci sia una riferimento! La realtà della zona Ovest di Torino, Collegno Rivoli Grugliasco, i comuni del Patto Territoriale, è industriale per vocazione, è area di sviluppo del lavoro e dei servizi alle famiglie, è una realtà attenta alle infrastrutture, alla sostenibilità ambientale, alle politiche attive per l’occupazione e per la formazione professionale, senza dimenticare l’Università, la cultura e i presidi sanitari. Esserci, in Regione può concretamente contribuire a incrementare quella rete di servizi che tiene insieme ciò che c’è con ciò che ci proponiamo di potenziare. Partire dall’esperienza locale positiva per esportarla nel resto del Piemonte, elevandone la potenzialità. Questo è uno dei punti di partenza che possiamo darci.
Quali sono i capitoli dai quali iniziare il lavoro in Regione?
Due le priorità: La Regione Piemonte deve fare di più in merito al diritto allo studio, garantendo agli studenti servizi e condizioni per combattere quella che è ancora una emergenza: la dispersione scolastica. Non possiamo permetterci che un adolescente venga marginalizzato dal sistema scolastico fino al punto di perderlo. Laddove ci sono le difficoltà, di inserimento, di attitudine, di comprensione o economiche, queste vanno comprese, accolte, e possibilmente risolte. La percentuale di coloro che non studiano e non lavorano è troppo alta. Chi abbandona la scuola oggi, avrà forti problemi a inserirsi nel modo del lavoro domani, proprio perché le qualità chieste oggi dalla competizione professionale sono alte. Si è fatto molto in questa legislatura per il diritto allo studio universitario, con buoni risultati. Ma bisogna guardare anche a chi all’università non ci arriva e che si perde prima.
Si è riferito alla formazione professionale. Il lavoro cambia. Cambiano le competenze. E la formazione professionale sembra non dover finire mai, anche per chi un lavoro già ce l’ha.
Il lavoro cambia, e la forza di lavoro deve cambiare di conseguenza. Maggiore formazione significa maggiore preparazione per il lavoratore e maggiore competitività per il nostro tessuto produttivo in Piemonte e in Zona Ovest. Oggi la formazione professionale dipende quasi interamente dai finanziamenti europei, è necessario darle stabilità.
Il suo libro “L’Inno di Mameli. 170 anni per diventare definitivo” sta ottenendo un buon successo di pubblico favorendo una riflessione importante sul senso di confini, di patria e di sovranità oggi. A quelli che fanno del sovranismo la propria bandiera cosa direbbe?
Pensiamo allo slogan “prima gli italiani” caro al centrodestra, che se esasperato porta ad un regionalismo che suggerirà “Prima il Veneto” o “Prima il Piemonte”. Prima di chi? Questo ci fa capire come la Lega perda il pelo, ma non il vizio. Ciò che viene predicato dalla Lega come autonomia altro non è che una rivisitazione del loro antico cavallo di battaglia: la secessione.
Autonomia cos’è?
Se l’autonomia è la consapevolezza di ciascuna regione della propria forza e delle proprie criticità, quindi avere coscienza di scelte locali che possono essere prese appunto in autonomia senza aspettare circolari ministeriali siamo d’accordo. Ma la Repubblica è una e indivisibile e tale resta. L’autonomia non può diventare sovranismo regionale. In più, il Piemonte è una regione a forte vocazione nazionale.
Chi sono i Piemontesi?
Vedo i piemontesi come grandi lavoratori, come cittadini di grande ingegno che hanno saputo inventare e creare ciò che poi, per diversi motivi, altre città hanno saputo sottrarci. Ciò che serve oggi al Piemonte è fare sistema, con una classe dirigente che dia stabilità, continuità e che sappia infondere fiducia. Abbiamo un grande cuore, una grande testa, siamo un corpo in salute. Oggi, non ci resta altro che vincere. E io, candidandomi al consiglio regionale, ho intenzione di far pesare di più il nostro territorio.