Primarie, tra correnti e torcicollo
di Rosanna Caraci
La cattolica, il ricercatore e il senatore. Si leggono sui giornali titoli che fanno pensare più a remake cinematografici western che non a una sana consultazione politica. Quando va bene, ciascuno di essi viene indicato in base alla “corrente” che esprime. E’ il candidato che esprime la corrente o la corrente che lo accompagna per mano? Il cittadino che di politica non ne sa, ne legge poco, ma che vorrebbe partecipare a questa tombolata collettiva del 16 dicembre, in anticipo su quella di fine anno da far paura, si presume si informi e che almeno un quotidiano, lo legga. Ma è complicato riuscirci se alla politica si è vergini e se ci si ferma proprio a quelle correnti, nazionali e per ricaduta locali, che monopolizzano l’interesse erotico del lettore e di più di un giornalista.
Primarie sì, primarie no. Al poco appassionante quesito che un po’ tutti all’interno del Partito Democratico si pongono, si risponde a metà tra la devozione stoica per la ditta e la routine alla quale ormai da qualche anno si è abituati. I segretari più esperti, quelli che reggono un circolo da più tempo, ironizzano contando quante primarie si siano sostenute, negli ultimi anni. Sistema abusato? Può darsi, resta un modo per il partito di contare l’affetto intorno e fa sorridere che proprio i candidati, non di queste ultime consultazioni ma un po’ ad ogni tornata, le respingano come una mera conta, salvo non impegnarsi per estrometterle dallo Statuto. Primarie tra iscritti, primarie aperte, primarie solo tra simpatizzanti, con obolo, senza obolo, con più sezioni un tempo ma ora è già tanto che se ne riesce a gestire una perché sono diminuiti i votanti e anche i militanti.
Eppure le primarie, odiamate, restano lì e salvo in casi dove il candidato non si discute per autorevolezza, per unitarietà del suo esprimersi, gli iscritti devono accettare che a votare l’amministratore del proprio condominio, pardon, della “ditta”, vengano anche coloro che abitano dai caseggiati vicini e che nulla sanno delle vicissitudini interne.
La mano longa di Renzi, nemmeno a dirlo, si è protesa sui candidati in modo occulto, verrebbe da dire “sinistro”, a causa di quella sua intenzione di andarsene dal Pd intercettata dagli organi di stampa: la politica insegna che basta un mal di pancia eccellente a fare il titolo e ad agitare pesantemente le fondamenta non proprio antisismiche del partito democratico. Dopo la lettera di fedeltà chiesta da Minniti ai renziani doc, rifiutata con sdegno e pare tra le cause dell’abbandono del dalemiano di ferro alla corsa per la segreteria nazionale, grande il dubbio che ha portato, nemmeno a dirlo, all’ennesima verifica. Veloce. Con chi stai? Vai o resti? Tra l’altro in Piemonte si andrebbe pure al voto per rinnovare il Consiglio regionale, votano anche un po’ di comuni… e la mano alla calcolatrice ce l’hanno messa in parecchi.
E tornano loro, le Primarie che sono già vecchie sebbene siano un’idea relativamente nuova: congeliamole, dice qualcuno; annulliamo tutto, dice qualcun altro, vengano fatte così diranno se il partito (o chi parteciperà alla consultazione senza che del partito nulla conosca se non le mestruazioni di uno e dell’altro). Primarie salomoniche, mentre i più incattiviti dicono perché farle se non ci sarà più un partito democratico? Chi vince le primarie se è renziano che fa, porta via la cassa (non farebbe un grande affare) e spegne la luce?
La fine del tunnel potrebbe intravedersi nel momento in cui il Partito democratico andrà oltre se stesso, sancendo un passaggio di crescita che non può trovare ispirazione se non in questo Paese. Le sirene macroniste, o laburiste alla Corbyn, la tentazione di creare una risposta efficace alla Lega Nord o al Movimento Cinque Stelle lascerà il tempo che trova per il vecchio adagio secondo cui tra l’originale e la copia, il mercato si fida dell’originale. Individuare ad esempio spazi lasciati vuoti dal collasso dell’esperimento di un centro moderato liberale, europeo, moderno non significa convertire il pensiero del partito ai mantra di vecchie streghe: significa ad esempio rispondere con ricette illuminate ad un mondo del lavoro che è cambiato e che anche i sindacati fanno fatica a comprendere. Più ampiamente significa fare un esercizio psicologico sull’orlo della crisi di nervi di un Paese fortemente borderline, che non ha una storia di sinistra, che si mostra peggiore di quello che lo si immagina non appena qualcuno lo giustifica. Il nuovo segretario regionale, e nazionale, dovranno essere in grado di cogliere tutto questo, avendo il coraggio di tagliare i cordoni ombelicali con un passato che appunto è tale. Vecchie parole d’ordine non funzionano più. Aprire il cuore, verrebbe da dire, guadando da basso un popolo che vuole un progetto, un sogno, un obiettivo. Differentemente, sarà difficile uscire dal tunnel, e tanto varrà cominciare ad arredarlo.